Raccolgo alcuni aspetti di quanto il Prof. Lucchesi don Mauro, la sera del 7 Dicembre, nella chiesa della Ss. Annunziata ci ha presentato per farci comprendere la bellezza del linguaggio delle icone e quello che la nostra tavola ci vuole trasmettere.
MADONNA DEL MOLINO, ICONA DELLA MADRE DI DIO.
1. PREMESSA
L’icona e noi
Negli occhi abbiamo immagini in movimento, qui sono statiche,
noi nella pittura cerchiamo emozioni, qui non sono suscitate, anzi l’icona lascia perplessi,
nella pittura percepiamo una bellezza estetica, nell’icona la bellezza è lasciare trasparire il mistero di un altro mondo.
Eppure l’icona ci attrae, ci conquista: il motivo è che l’immagine di Dio riflessa in ciascuno di noi si trova specchiata in quella dei santi, illuminati e resi bello dallo Spirito Santo , che dalle icone ci vengono incontro.
L’icona è uno specchio del nostro volto interiore e risuscita la nostra vera identità.
L’icona è una guida spirituale, guardandola il credente si vede dentro ed è chiamato alla santità, alla vita di fede.
Così l’icona svolge la sua missione: salvare l’uomo da se stesso evocandogli la sua identità di gloria e lo sguardo si trasforma in preghiera: di lode, di lacrime, di confidenza, di intercessione.
La comprensione del suo messaggio dipende dalla nostra esperienza di fede che l’icona ravviva; ma anche se la fede è dispersa, l’icona diventa appello accendendo la nostalgia della bellezza e della pace .
L’icona nasce …. con finalità precise
Come il vangelo narra con le lettere l’azione di Dio, l’icona lo mostra con i colori.
Come il vangelo contiene la parola di Dio, l’icona è un tabernacolo che contiene la presenza del soggetto rappresentato.
Una pittura viene interpretata, nell’icona si legge la fede della chiesa.
L’artista firma la sua opera e attraverso di essa si afferma, l’iconografo opera a nome della Chiesa e non firma la sua opera che appartiene alla Chiesa; non si affida all’ispirazione, ma alla fede della Chiesa e segue i canoni che questa ha fissato.
Il linguaggio dell’icona
Le figure devono mostrare l’identità santa dei soggetti, non essere un ritratto… Il luogo dell’icona è la chiesa o la casa, nel luogo di preghiera.
L’icona è stata patrimonio comune a tutte le chiese di oriente e di occidente fino al XIII secolo.
E' una finestra che dà accesso al mondo di Dio, soprattutto permette a Dio di avvicinarsi a noi.
E' il punto di incontro di due sguardi: quello del soggetto rappresentato e quello dello spettatore: l’icona rivela e chiede una risposta.
2. MARIA RIVELATA DALLE ICONE
Madre di Dio
L’importanza di Maria è la sua collaborazione all’opera di salvezza di Dio per l’umanità. Nelle lodi della festa dell’Annunciazione si canta: gioisci, riscatto della maledizione di Adamo, o Madre di Dio; gioisci venerabile Genitrice di Dio; gioisci, roveto vivente; gioisci, lampada, gioisci trono; gioisci scala e porta; gioisci, cocchio divino; gioisci, nube leggera; gioisci tempio; gioisci, urna tutta d’oro; gioisci, monte; gioisci dimora e mensa; gioisci liberazione di Eva.
Per questo motivo le icone rappresentano Maria sempre con il Figlio. Le poche icone in cui non compare, lei è sempre protesa verso di Lui. Il titolo più grande di Maria è quello di madre di Dio (Concilio di Efeso, 431) è così è sempre chiamata.
Dice Sofronio: “Veramente benedetta Tu fra le donne, perché diverrai veramente la Madre di Dio. Infatti se Colui che nascerà da te è realmente Dio incarnato, Tu stessa sei chiamata con pieno diritto e giustamente, Madre di Dio”.
L’incarnazione è stata possibile per la disponibilità di Maria. Tutta la dottrina su Maria risiede nell’avvenimento della nascita nella carne di Dio. Essa è la Madre di Dio, tutta la sua vita è legata a questo.
Attraverso il suo sì, Dio si è incarnato e quindi ha potuto avere ciò che non aveva, un corpo. Maria è il luogo di Dio, ha donato a Colui che prima di lei era senza casa, una vera abitazione tra gli uomini. Essa è la terra di Dio, terra che grazie a lei è divenuta cielo, anzi lei stessa è ‘cielo del cielo’. Essa è il tempio che accoglie Dio stesso. Da qui i titoli con cui la si loda:
Per esprimere la maternità di Maria, dal IX secolo Maria viene rappresentata con un medaglione davanti dove è rappresentato il Bambino, ciò esprime la fede della chiesa, Maria è Platitera, Colei che è più grande (dei cieli). Ne troviamo un’affermazione in un papiro del VI secolo: «Ave Madre di Dio, o pura di Israele! Ave, o tu, il cui seno è più vasto dei cieli! Ave, o Santa, o Trono celeste!»
Gli slavi chiamano questa icona Znamenie, o del Segno, in riferimento alla profezia di Isaia «Il Signore vi darà un segno: la Vergine concepirà e partorirà un figlio che chiamerà Emmanuele» (7,14). Maria lo presenta al mondo. Il bambino è raffigurato in un medaglione a fondo oro posto all’altezza del seno della Madre ad indicare il mistero dell’Incarnazione del Verbo; con la mano destra benedice, mentre nella sinistra tiene stretto il rotolo della profezia.
Contemplando il mistero così canta la liturgia di S. Basilio:
«In te o piena di grazia, si rallegra tutta la creazione: il coro degli angeli e tutto il genere umano; o santa dimora e spirituale paradiso, vanto delle vergini! Da te Dio ha preso carne ed è diventato Bambino, Lui che fin dall’eternità è il nostro Dio. Infatti Egli fece suo trono il tuo seno, rendendolo più vasto dei cieli. In te o piena di grazia, si rallegra tutta la creazione».
E ancora:
«O Vergine, superiore ai cherubini e ai serafini, più vasta del cielo e della terra, tu sei apparsa superiore, senza confronto a tutta la creazione visibile e invisibile. Colui che le immensità celesti non possono contenere, tu lo hai accolto nel tuo seno, o Pura»
(Theotokion del 16 gennaio).
Voci profetiche hanno narrato le tue meraviglie, chiamandoti monte e porta, o immacolata, candelabro luminoso dal quale la luce veramente mirabile, o pura, sfolgora sul mondo intero. (Theotokion 24 giugno)
Uscì dal tuo grembo pieno di luce, il Cristo grande sole e illuminò il mondo, o immacolata, di radiosi bagliori, togliendo la tenebra della trasgressione. (Theotokion della IV domenica di Pasqua , del paralitico)
Vergine
Maria ha sopra di sé tre stelle, simbolo siriaco della verginità prima, durante e dopo il parto per esprimere il dogma del concilio di Efeso sulla divino-umanità di Gesù. Se Maria avesse concepito per opera dell’uomo il figlio sarebbe stato uomo e non Dio e non ci avrebbe salvato.
Inoltre, essendo Gesù il Figlio di Dio, porta il pegno del rinnovamento finale (escatologico) alla natura umana. Così Maria, nel parto si trovò libera dalla schiavitù del parto (cf. la condanna in Gen 3,16) e la sua verginità restò intatta: è la nuova creazione promessa dai profeti, il rinnovarsi della nascita eterna, il pegno del futuro, l’archetipo della nascita battesimale che comunica all’uomo la caparra dello Spirito Santo. Nella nascita ordinaria e miracolosa Cristo non rinnega la natura umana, ma le conferisce un pegno di rinnovamento che la chiesa sperimenterà nel battesimo e Maria già da subito, come da subito entrerà nella risurrezione.
Scopo dell’universo
Tutto il creato tende verso Maria come al suo scopo perché attraverso di Lei si compie il piano di Dio: ha inizio la nuova creazione, l’uomo è trasferito nei cieli e Dio diventa cittadino della terra, si inaugura la novità eterna dell’incorruzione. Come l’albero esiste per il frutto, così la creazione esiste per Maria, ed essa per Cristo. Dio ha creato l’universo e l’uomo da sempre – e non solo dopo il peccato – avendo come finalità che dall’umanità provenisse la vergine e da essa nascesse Cristo.
Nella festa della nascita di Maria (8 settembre) in Oriente si canta:
Oggi Dio, che riposa sui troni spirituali, si è apprestato sulla terra un trono santo; colui che ha consolidato i cieli con sapienza, nel suo amore per gli uomini si è preparato un cielo vivente.
Questo è il giorno del Signore, esultate popoli: poiché ecco, il talamo della luce, il libro del Verbo della vita, è uscito dal grembo; la porta che guarda a oriente è stata generata e attende l’ingresso del sommo sacerdote, lei che introduce nel mondo, sola, il solo Cristo, per la salvezza delle anime nostre. (Sergio Aghiopolita)
Il roveto incombusto sul monte e la fornace dei caldei irrorante rugiada chiaramente prefigurano te, sposa di Dio: perché senza venirne arsa, tu hai ricevuto in un seno materiale il divino fuoco immateriale; e noi gridiamo a colui che da te fu partorito: Benedetto il Dio dei padri nostri.
Monte, porta celeste e scala spirituale ti ha divinamente profetizzata il sacro coro: poiché da te è stata tagliata la pietra non toccata da strumento umano; e sei chiamata anche porta per la quale è passato il Signore dei prodigi Dio dei padri nostri.
Rapporto tra Maria e Gesù
Madre di Dio in maestà
Il modello più antico risale alle rappresentazioni dell’adorazione dei magi, nelle catacombe; il gesto esprime il dogma della maternità divina. S. Giovanni Damasceno afferma: "Le sue mani portano l’eterno e i suoi ginocchi sono un trono più sublime dei cherubini. Ella è il trono regale su cui gli angeli contemplano seduti il loro sovrano e il loro Creatore”.
Madre di Dio Odighitria
Il modello è nato a Costantinopoli e poi si è diffuso anche in occidente. Inizialmente prese nome dalla chiesa dove si trovava (delle guide) e poi l’appellativo passò a Maria “Colei che indica la via”. Maria appare in piedi o a mezzo busto con il bambino seduto sul braccio. Il Bambino, è seduto in posizione eretta sul braccio della madre come Salvatore nella mano sinistra tiene il rotolo del vangelo, mentre con la destra benedice. Il suo abito intessuto d’oro è la veste sacerdotale del Verbo di Dio, l’espressione è di un adulto. Maria, avvolta nel mantello di porpora scura bordato d’oro, non esercita ,come nelle pitture occidentali ,un ruolo di protezione nei riguardi del figlio , ma tende la sua mano libera verso il bambino in un gesto che lo presenta agli uomini e intercedendo al tempo stesso. Lo sguardo di Maria si posa direttamente sullo spettatore.
In questo senso Maria è anche l’immagine della Chiesa che conduce i cristiani al Salvatore e lo indica all’umanità come via da seguire.
Madre di Dio della Tenerezza
Nelle icone della Madre di Dio della tenerezza ,a cui appartiene questa ,Maria è rappresentata inclinata con il Bambino sul braccio; Gesù è appoggiato guancia a guancia verso di lei. Maria come colei che intenerisce il Figlio a favore dell’uomo. Questa nostra immagine si inquadra bene in questo tipo che è presente in diverse varianti; il particolare della mano del bambino sul viso della madre lo ritroviamo in un’icona della città di Jaroslav.
Quello che colpisce è lo sguardo di Maria una commistione di dolcezza e di tristezza, di dolore e di amore con cui essa fissa. E’ uno sguardo assorto in una visione interiore, non si posa sul bambino ma è rivolto verso chi guarda e ci partecipa il mistero che essa stessa vive.
Nelle icone il volto non è un ritratto, i lineamenti esprimono la partecipazione del soggetto alla vita di Dio: gli occhi sono grandi, come di chi vede nel mistero di Dio; la bocca , elemento della passionalità: chi non mangia muore ,è piccola perché il santo ormai vive di Dio. L’icona non è un ritratto, vuole esprimere l’identità più interiore e vera della persona partecipe della vita di Dio.
Davanti al mistero della nascita del suo figlio “Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore” (Lc 2,20).
Gesù: è il centro dell’icona e se lo sguardo di Maria è rivolto verso di noi è per dirci qualcosa che riguarda Lui. Gesù è rappresentato con il volto di adulto, esprime la sua condizione di Figlio di Dio e Salvatore;
L’espressione di Gesù è grave, i suoi occhi aperti sono fissi in quelli della madre, egli riconosce nella madre la creatura che si apre pienamente al Padre e grazie alla sua apertura appare vulnerabile e questo suscita la tenerezza del Dio-bambino: tenerezza del Creatore per la sua creatura, tenerezza piena di meraviglia della creatura verso il suo Signore che, assumendo la natura umana, si è consegnato a lei rendendosi a sua volta radicalmente vulnerabile. Il suo sguardo è segnato da una “radiosa tristezza”.
Anche gli occhi della madre sono velati di tristezza, ella sa che il Figlio dovrà soffrire per l’umanità. C’è una compassione serena del Figlio verso la madre e della madre verso il figlio.
In questo atteggiamento si legge il 'pensiero di Maria' alla quale Simeone aveva comunicato che una spada l'avrebbe trafitta, preannunciandole così la passione del Figlio. Nel suo secondo inno sulla Natività, Romano il Melode (+560) mette in scena Adamo ed Eva che si recano alla grotta: Maria li accoglie poi va a presentare le loro richieste al Figlio. Tra il bambino a la Madre si svolge il seguente dialogo:
«Sono sopraffatto dall’amore che sento per l’uomo. Io, o Ancella e Madre mia, non ti rattristerò. Ti farò conoscere ciò che sto per fare e avrò rispetto per la tua anima. Il bambino che ora porti tra le braccia, lo vedrai più in là con le mani inchiodate, perché ama la tua stirpe. Colui che tu nutri, altri l’abbevereranno di fiele; colui che tu chiami vita, dovrai tu vederlo appeso alla croce, e di lui piangerai la morte. Tutto questo sopporterò volentieri e causa di tutto questo è l’amore che ho sempre sentito e sento tuttora per gli uomini, amore di un Dio che non chiede altro di poter salvare».
A tale discorso Maria emise un gemito: «O mio grappolo, che gli empi non ti frantumino! Quando sarai cresciuto, o mio Figlio, che io non ti veda immolato!».
Ma egli così aggiunse: «Non piangere, Madre su ciò che non sai: se tutto questo non sarà compiuto, tutti coloro a favore dei quali tu mi implori, periranno, o Piena di grazia! Considera la mia morte quale un sonno, Madre mia. Dopo tre giorni nel sepolcro volontario, tu mi vedrai rivivere e rinnovare la terra e tutti i terrestri. Queste cose, Madre, annunciale a tutti, di queste cose, rallegrati».
C’è un’icona che si collega con questa, è quella del compianto di Maria verso il Figlio, dove Maria sostiene il figlio morto, in piedi che esce dal sepolcro ed è con lui ancora guancia a guancia; Maria partecipa alla passione del Figlio e lo offre mentre il canto che accompagna la visione dice: “Non piangermi, o madre, guardandomi nel sepolcro, tu che hai concepito nel tuo seno questo Figlio senza seme; io risorgerò nella gloria, per sempre, come Dio, e ti glorificherò nella fede e nell’amore” (canone del sabato santo).
Così Maria partecipa alla compassione di Dio per l’uomo, ecco perché ad Essa possiamo rivolgerci con fiducia. In tale atteggiamento dunque non si esprime tanto la tenerezza materna di Maria, quanto la sua potestà di intenerire il Figlio: essa rimane sempre colei che intercede per l'umanità.
Nella mano destra Gesù ha un uccellino. E’ un elemento che caratterizza la pittura toscana prima di Giotto ma è presente anche nell’icona portata in Russia dal monte Athos (Grecia) nel 1393. L’uccellino potrebbe essere un pettirosso, un fringuello o cardellino che sono simboli della passione di Cristo. Esso ha le ali tese a formare la croce e lo sguardo di Gesù sottende tutta la comprensione di tale simbolo. Nel suo sguardo si adombra il grande disegno di salvezza del Padre, quello della grande misericordia verso l’Adamo e per questo il Verbo si è fatto carne, per raggiungere e liberare l’umanità: “Sulla terra sei disceso per salvare Adamo e non avendolo trovato sulla terra, o Sovrano, fino all’ade sei disceso per cercarlo” (Palamas, omelia festa di tutti i santi)
Mentre in una pittura della Madonna col Bambino del nostro rinascimento vediamo una madre che esprime il suo amore umano verso il figlio, in questa icona, arriviamo alla conoscenza del mistero di Dio e alla professione di fede: il figlio di Maria è Dio e come tale è portato come su un trono dalla Madre.
Immagine della Chiesa
Maria è immagine della Chiesa, essa ha accolto il Figlio, essa lo dona, lo indica , all’umanità e chiama l’umanità ad andare a Lui per partecipare alla pienezza della vita. E’ questa la missione che Gesù stesso le ha affidato sotto la croce consegnandole come figlio il discepolo amato e insieme a lui tutti i discepoli di ogni tempo.
Immagine del cristiano
Lo sguardo di Maria rivolto verso di noi ci svela un legame di somiglianza tra lei e noi: anche in noi lo Spirito ha generato il Figlio nel battesimo. Anche tra il Signore e ciascuno c’è un legame così stretto come quello che vediamo in questa icona. Noi vediamo Gesù che con una mano accarezza il mento di Maria, quasi a consolarla, questo ci ricorda che quando attraversiamo momenti di tristezza, solitudine, paura, incertezze, guardando questa immagine, comprendiamo di essere consolati da Dio, che sì così “piccolo che si può prendere nelle braccia” (Sartre) che diventa nostro Consolatore.
Per questo Maria non deve assomigliare a nessun altro volto di donna perché non deve essere confusa con nessun altra e al contempo ciascuno deve potersi identificare in Lei e sentire la presenza consolante del Figlio.
La chiesa riconoscente del dono della maternità di Maria proclama:
Veramente benedetta tu fra le donne, perché hai cambiato in benedizione la maledizione di Eva, e per te fu nuovamente benedetto Adamo che era oggetto della maledizione divina (Sofronio di Gerusalemme).
Nella preghiera dell’Ave Maria si esprime tutta questa verità. In lei Dio si fa uomo e noi invochiamo la sua intercessione per noi.
Maria è anche il dono che l’umanità fa a Dio, il nostro dono a Dio. Nel giorno di Natale la liturgia bizantina canta:
“Cosa ti offriremo o Cristo? Tu per noi sei apparso, uomo, sulla terra. Ciascuna delle creature da te fatte ti offre il rendimento di grazie: gli angeli l’inno; i cieli la stella; i magi i doni; i pastori lo stupore; la terra la grotta; il deserto la mangiatoia: ma noi ti offriamo la Madre Vergine. O Dio che sei prima dei secoli, abbi pietà di noi”.
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